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Arte del cambiamento - Jò Badamo

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Pare ci sia una “regola” universale, nata con la nascita del genere umano, che spinge, senza soluzione di continuità, l’ uomo verso l’ avventura del nuovo se non addirittura del sensazionale.
Lo abbiamo visto con la scoperta del fuoco o con le grandi scoperte scientifiche che l’ intelligenza cerca di migliorare; lo abbiamo visto seguendo le grandi e piccole invenzioni e lo abbiamo costatato anche attraverso l’ arte nella cui galassia intellettiva e spirituale l’ artista rincorre continuamente il gusto e l’ aspirazione del nuovo, dell’ ardito fino a sfiorare un eventuale volo di Icaro pur di superare sé stesso in territori sempre più accidentati o sublimando i nuovi processi e/o i nuovi procedimenti.

Così è avvenuto nel campo della musica, così è avvenuto in quello della scultura e della grafica, e pure così è sempre avvenuto in quello della pittura, forse teatro espressivo più complesso, dove basterebbe citare le evoluzioni di un Picasso o di un Dalì o di un Fontana.
 
È una regola universale e le eventuali, sparute eccezioni, non fanno che confermare tale regola. È spirito di avventura? È, oltretutto, morbosa curiosità di sapere cosa c’ è oltre lo storico “stretto di Gibilterra”? La mitologia, superba invenzione dell’ uomo ce lo confermerebbe. A questa frenetica e superba ordalia cerebrale nemmeno la tirannia del tempo può opporsi in quanto le opere dell’ ingegno restano imperituri testimonials di una gran bella avventura.

Jò Badamo non sfugge a questa tentazione e, nel breve volgere di pochissimi anni, passa da un monocromatico tendente al naive ad uno scenario sfavillante di luci e colori che potremmo inquadrare negli ultramoderni “effetti speciali”, da una fase storica della civiltà contadina d’ un tempo ad una storia non storia che, partendo da una poetica di fondo, si spinge fino al “tempio dei misteri” kolosimiano.
 
È come se una mano misteriosa imponesse al pensiero determinare scelte; qui non è più la ragione bensì il subconscio a fare da guida e maestro. La presenza di qualche accenno di figurativo, e di conseguenza di formale, se da un lato ci conferma un’evoluzione informale della forma, da un altro non ci consente di definire l’appartenenza ad una corrente pittorica malgrado un possibile riferimento al Surreale o alla Metafisica.

Saremmo invece dall’avviso che nel “nuovo Badamo” si agita, sempre a livello inconscio, un procedimento escatologico mirato al destino ultimo dell’uomo o dello stesso universo. Sembra strano, ma è sicuramente così. Sembra che l’ artista ritragga forme di vita larvali in un “tempo nuovo”, in un “mondo che sarà”; geogonia in nuove galattiche volute o meno dall’ uomo.
 
È storicamente accertato che l’ artista, in genere, intuitivamente precorre gli avvenimenti da eterno Cassandra; come si spiegherebbe diversamente, tanto per citare uno fra gli esempi più illustri, la “fantasia” di un Giulio Verne che si dispose a far galleggiare il ferro?......
 
A parte il dottrinale, gli acrilici del Badamo ci sembrano sciabolate di vele o di cartocci variopinti, armonie e visioni che “snebbiano” per galassie o fondali d’abissi marini trascinando scorci di nature morte quali recuperi memoriali, ed ancora alberi e piante e fiori e chiocciole, molto stilizzati, visti attraverso prismi deformanti proiettate nell’ immaginario collettivo.

Nel suo nuovo, fantastico modulo narrativo c’è difficile capire quanto c’è dell’uomo e quanto dell’artista. Un fatto è certo: le sue opere sono belle a vedersi e sono interessanti perché degne di studio .

  Critico d’Arte   
Nic Giaramita
                                                                                                             
  
                                                            
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